La Grande guerra vide nascere due filoni autentici di canti: i canti d'autore, di reminiscenza risorgimentale e i canti di trincea. I soldati ripresero, rielaborarono e adattarono alle situazioni di guerra canzoni in voga e brani popolari dei rispettivi paesi di provenienza. Ma vide anche l'aumento della produzione di diari, romanzi, poesie dedicati all'esperienza della vita al fronte. Particolarmente interessante è pagina del romanzo Il velocifero di Luigi Santucci che racconta una notte di trincea e ci lascia intendere come al canto i soldati affidassero il loro desiderio di non sentirsi soli e la necessità di darsi forza. Particolare è il sentimento dei soldati italiani nei confronti delle truppe austriache non sentite come nemiche e con le quali si scambiavano i pochi generi alimentari ma che lo diventano nel momento dello scontro fisico o dopo l’uccisione di un compagno.
Nel testo di Il velocifero viene citata la canzone Ta-pum, una delle più note canzoni della Grande guerra. Il ritornello è ispirato al rumore degli spari della fucileria austro-ungarica. L'attribuzione della paternità della canzone è tuttora irrisolta. Alcuni l'attribuiscono ai minatori durante lo scavo del traforo del San Gottardo, mentre altri a Nino Piccinelli di Chiari la cui melodia derivò probabilmente da un canto della seconda metà dell'Ottocento diffuso tra i minatori: i fonemi onomatopeici "ta-pum", che nella versione originaria richiamavano il rumore prodotto dallo scoppio delle mine, nell'adattamento di guerra imitarono quello di uno sparo seguito dall'eco. Questa, come moltissime altre canzoni, davano ai soldati la possibilità di esprimere la tristezza e la rabbia di fronte al massacro cui furono destinati.
Il confronto quotidiano con la morte, la disciplina applicata spesso in modo terroristico dagli ufficiali davano origine nei soldati a follia e nevrosi che venivano il più delle volte punite come insubordinazioni. Dal Maggio del 1915 al settembre del 1919, anno dell'amnistia, furono istituiti 350.000 processi che si risolsero con 150.000 condanne di cui 4.000 alla pena capitale. La disperazione e il terrore fecero maturare la coscienza che si combatteva “per la distruzione del genere umano”, come dichiarò un soldato in una lettera ai familiari, e che ci si trovava di fronte a una “inutile strage" come denunciò Benedetto XV il 9 agosto 1917.
Fuoco e mitragliatrice è un'altra canzone dolente che prende la melodia da una canzone napoletana del 1913: Sona chitarra. La varie località menzionate nel canto fanno pensare che esso sia nato tra la fine del 1915 e l'inizio del 1916. Alle pendici del San Michele era allora situato un trincerone italiano, che verso valle andava al bosco Cappuccio (e non monte Cappuccio), verso monte al bosco Lancia e alle trincee delle Frasche e dei Razzi (nella quale va identificata la trincea di Raggi di cui si parla in questa versione del canto). La conquista della trincea dei Raggi costò alla brigata Sassari la morte dei due terzi dei soldati.
La decimazione era lo strumento estremo di disciplina militare inflitto uccidendo un soldato ogni dieci. Le decimazioni furono, durante la prima guerra mondiale, una pratica esclusiva del Regio Esercito italiano, che non le aveva mai applicate prima. Almeno otto casi di decimazione, sono stati documentati durante la prima guerra mondiale all’interno del Regio Esercito. L’immagine si riferisce alla decimazione della Bragata Catanzaro il 16 luglio del 1917
Altri canti della truppa italiana esprimevano una vera e propria protesta politica, ponendosi come duri atti d'accusa contro chi aveva voluto il conflitto. Su tutti emerge O Gorizia, rielaborata su un modulo popolare risalente ai tempi della guerra di Libia (1911-1912) e diffusa dai cantastorie. La mattina del 5 di agosto che il testo ricorda è quella del 1916 quando le truppe italiane si mossero per la presa di Gorizia e cioè per la Sesta battaglia dell'Isonzo. Lo scontro avvenne il 9 di agosto e in un sol giorno lascio sul campo 21.630 morti e 52.940 feriti. L'attacco «era come a mietere» ricordò un soldato, e quello che si mostrava alla fine delle battaglie era uno scenario lunare di buche e morti, spesso lasciati insepolti, cui si aggiungevano le grida e i lamenti dei feriti abbandonati nella terra di nessuno senza poter essere recuperati. La guerra si configurò dunque come un “macello”, in cui gli uomini erano ridotti allo stato di bestie. Il soldato contadino Giuseppe Daniele raccontò a Nuto Revelli:
«Le mitraglie dei tedeschi sparavano a gran forza rasoterra. Esce il capitano, esce la prima ondata di alpini, e muoiono tutti. [...] Poi la nostra artiglieria ha cominciato a bombardarci. I nostri ci bombardavano per farci uscire dalla trincea, per spingerci all’assalto […] ne sono morti migliaia e migliaia.»
La I Guerra Mondiale fu anche teatro di grandi atti eroici compiuti da soldati. Uno di questi è raccontato dal soldato Michele Campana che a Cesare Caravaglios descrive quel che accade il 4 dicembre 1917, quando un violento bombardamento austriaco sconvolse le posizioni italiane nel settore tra la cima del Monte Sisemol e quella del Monte Grappa. La necessità dei soldati di darsi forza, di non sentirsi soli; sentire il conforto fraterno di chi vive le tue stesse sofferenze, e difenderà il commilitone come difenderà se stesso sono gli affetti che danno voce al coro degli arditi del 16° battaglione di assalto che intona Fratelli d’Italia. Questo inno rappresenta uno dei tanti canti, spesso di origine risorgimentale o popolare, con testi spavaldi, militaristi e di abnegazione patriottica confluiti nel repertorio popolare della Grande Guerra.
Il canto degli italiani di Novaro-Mameli solo nel 1946 divenne inno nazionale provvisorio della Repubblica; in quell’anno mise al bando l’inno del fascismo Giovinezza e mandò in soffitta la Marcia Reale d’ordinanza, scritta nel 1831 da Giuseppe Gabetti, nella quale si riconobbe la monarchia sabauda.
Il 15 dicembre 2017 l'iter si è concluso definitivamente con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della legge nº 181 del 4 dicembre 2017, avente titolo "Riconoscimento del «Canto degli italiani» di Goffredo Mameli quale inno nazionale della Repubblica", che è entrata in vigore il 30 dicembre 2017. I due commi che compongono la legge recitano:
«1. La Repubblica riconosce il testo del «Canto degli italiani» di Goffredo Mameli e lo spartito musicale originale di Michele Novaro quale proprio inno nazionale.
2. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lettera ii), della legge 12 gennaio 1991, n. 13, sono stabilite le modalità di esecuzione del «Canto degli italiani» quale inno nazionale. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.
Fanfara e coro diretti da V. Santini
Canta Aurelio Gabré (1928)
La canzone più celebre della I guerra mondiale, quella più cantata ed eseguita ad ogni celebrazione del 4 novembre è sicuramente La leggenda del Piave scritta e pubblicata da E. A. Mario, pseudonimo di Giovanni Gaeta a guerra ormai terminata nel 1919. Il compositore di La leggenda le Piave è un famoso autore di canzoni napoletane; altri suoi titoli sono: Vipera, Santa Lucia luntana, Balocchi e profumi. La leggenda del Piave è una canzone di cabaret, di salotto bene; non è affatto concepita come canzone corale ma ha la stessa struttura narrativa propria di altre canzoni di Mario. Per coglierne appieno la funzione di canto retorico e di idealizzazione della guerra che racconta è necessario ascoltarne una versione dell'epoca: quella cantata da Aurelio Gabré. La voce è quella sofisticata della romanza colta e alterna momenti di canto enfatizzato a momenti di vera e propria recitazione, sempre molto enfatica: alla maniera dei cantastorie. Non è mai stata una canzone di soldati ed è stata utilizzata subito dopo la guerra e fino ai giorni nostri per idealizzare la guerra; passar sopra alle atrocità, alle sofferenze, ai lutti: nascondere le motivazione profonde della guerra – quelle economiche – dietro l'alibi mistificante dell'ideale nazionalistico in particolare nel periodo del fascismo.
La Grande Guerra