Il sentimento di orrore per la guerra sofferto da chi vedeva partire per il fronte il proprio amato traspare con struggente semplicità dal testo della canzone El pover Luisin nel quale compare in modo esplicito il riferimento alla «guèra desperada» del 1859. Ciò che più interessa è però quel senso di rassegnata disperazione verso quelle guerre decise dall’alto che intervengono brutalmente ad interrompere un amore descritto carico di pudori e gentilezze. La melodia ha analogie con le melodie dei cantastorie lombardi; il testo, lontano da ogni retorica, è collocabile nell’area milanese.
Intorno alla metà del Novecento, attraverso lo studio comparato dei repertori del canto popolare delle nazioni europee fu possibile trovare analogie di testo e di musica in popolazioni di territori lontani per lingua, esperienza storica, politica e sociale. Vi presenterò alcune analogie musicali esistenti fra canti popolari italiani e canti popolari della tradizione tedesca e austriaca. La musica, come già precedentemente accennato per il melodramma, da sola non dice nulla ma assume sentimenti e valori di chi l’ascolta. Possiamo però pensare che se un popolo con una propria lingua ed una propria tradizione popolare musicale, accoglie nel proprio repertorio melodie di un altro popolo è perché quest’ultimo non è sentito come nemico; «quando una musica passa da un popolo all’altro, vuol dire che tra i due popoli c’è apertura, disponibilità e interesse reciproco. Quando due popoli si odiano, odiano e rifiutano qualsiasi manifestazione del popolo avverso.»* Se è vera questa affermazione gli esempi che seguono sono il SEGNO MUSICALE di come le popolazioni del lombardo-veneto, almeno in alcuni momenti della loro storia, non abbiano sentito la dominazione austriaca come un giogo e quindi la possibilità che le guerre risorgimentali siano state decise da classi sociali non popolari.
Uno di questi SEGNI MUSICALI lo troviamo in La bella Gigogin che è un tipico esempio di “collage” e cioè contiene tre melodie diverse; vale a dire E la bella Gigogin, A quindici anni e La dis che l’è malada. Rinaldo Caddeo, con la retorica e le esagerazioni che testimoniano la sua condivisione delle idee interventiste del 1915, così scrive della sua nascita:
«Questa canzone, che doveva aver sùbito un successo inaudito, ebbe il battesimo del pubblico l’ultimo giorno del 1858 nel Teatro Carcano di Milano […] in un concerto dato dalla Banda Civica sotto la direzione del maestro Rossari. L’entusiasmo della folla che aveva inteso immediatamente il significato riposto della canzonetta ed era stata colpita dalla bellezza musicale che la informa, raggiunse il delirio; otto volte fu replicata la canzone; e poiché la banda, per una delle tante assurde disposizioni austriache, aveva l’obbligo di eseguire ogni tanto delle suonate davanti al palazzo del viceré, alle quattro del mattino del primo d’anno del ‘59 si recò a compiere il suo dovere davanti al palazzo reale seguita da una folla enorme di qualche decina di migliaia di persone le quali, con slancio frenetico, gridavano il ritornello Daghela avanti un passo. Il popolo ammoniva intanto il comandante delle forze austriache a Milano che stesse attento perché il nuovo anno gli avrebbe recato dei fastidi: Varda Giulay che ven la primavera. E infatti non passò molto che giunse la liberazione e la Bella Gigogin fu cantata nella battaglia di Magenta, ed all’entrata delle truppe franco-sarde di Milano liberata le bande musicali la suonavano accompagnate dal coro immenso della cittadinanza che vedeva realizzate le sue sante speranze.»
l significato riposto nel testo che immediatamente la folla aveva inteso era quello sprono a Daghela avanti un passo, marciare verso il nemico austriaco e, più sottile, la bella Gigogin che non vuol mangiar polenta, gialla come la bandiera asburgica. Le prime due melodie (La bella Gigogin e A quindici anni) sono attribuite a Paolo Giorza ma la terza (La dis che l’è malada) ha origine diversa; la troviamo, con il titolo Zehntausend mann, in un canzoniere tedesco giunto nel 1924 alla sua trentaduesima edizione. La melodia ha subito variazioni prevalentemente ritmiche dovute al diverso testo ma è riconoscibile. Forse la melodia di Zehntausend mann ha attraversato le Alpi con le truppe di occupazione, ed è così entrata nel repertorio popolare lombardo diventando modulo utilizzato per accompagnare testi diversi. Paolo Giorza forse l’ha utilizzata nel suo collage per facilitarne l’apprendimento a quel «coro immenso della cittadinanza» a cui fa riferimento Caddeo.
La medesima situazione si realizza con Addio del volontario il cui autore del testo è Carlo Bosi. Sempre da Rinaldo Caddeo ascoltiamo come suonava questa musica alle truppe volontarie che si arruolavano per combattere i loro nemici austriaci nel 1848*.
ADDIO del VOLONTARIO!
CANTO POPOLARE DI CARLO BOSI
«Chi non ha cantato in Italia l'Addio, mia bella, addio? Chi non la canta ancora, in città e in campagna, in Lombardia, in Toscana, in Sicilia, nelle nostre colonie d'America? Questa canzone, così fresca e vibrante, che par nata oggi, ha invece un'età veneranda poiché sorse nel 1848 ed ebbe il battesimo del fuoco nella battaglia di Curtatone. La scrisse il fiorentino Carlo Bosi, che la intitolò II volontario che parte per la guerra dell'Indipendenza, ma il popolo la chiamò l'Addio del volontario e ne corresse il primo verso che nella lezione originale suonava: Io vengo a dirti addio. Enrico Panzacchi disse dell' Addio del volontario: E' veramente una cara e poetica cosa ; un toccantissimo motivo che ho sentito lodare e quasi invidiare all'Italia nientemeno che da Riccardo Wagner. E Pietro Gori osservò giustamente: Le undici strofe di questa poesia hanno nociuto agli austriaci più di una battaglia perduta, e giovato all'Italia più di una battaglia guadagnata. Tanta è la potenza del ritmo e dell'armonia sull'animo gentile degli Italiani!» da: Rinaldo Caddeo a cura di, Inni di Guerra e Canti patriottici del Popolo Italiano, Casa Editrice Risorgimento, Milano, 1915, p. 61.
Molte canzoni presenti nel repertorio risorgimentale non sono di origine popolare ma al popolo erano destinate e, in momenti successivi alla loro composizione, sono arrivate. Per tutto l’Ottocento è possibile rilevare nelle persone che la storia l’hanno fatta il desiderio di divulgare le proprie idee al popolo e spesso per far ciò usavano le canzoni. Lo stesso Garibaldi, rivolgendosi a Mercantini dice «voi mi dovreste scrivere un inno per i miei volontari; lo canteremo andando alla carica e lo ricanteremo tornando vincitori»*. Mercantini scrisse le parole e Alessio Olivieri la musica dell’Inno a Giuseppe Garibaldi. L’Inno è un prodotto colto destinato ai volontari garibaldini «... la bella gioventù educata che mi accompagnava, quasi tutto elemento cittadino e colto, ...»**. Dal testo è possibile ricavare quale fu il sentimento dei volontari garibaldini: lo sprezzo del pericolo per scacciare lo straniero dall’Italia. Questo canto ebbe in seguito (a guerre terminate!) una larga diffusione popolare quando Garibaldi divenne, anche nella cultura contadina, l’eroe di imprese epiche e leggendarie narrate anche nel repertorio del teatro dei burattini.
Trovate anche una edizione solo orchestrale: Arturo Toscanini dirige la NBC Symphony Orchestra nell'Inno Garibaldi. Walter Toscanini, figlio del Maestro, è ascoltato nell'introduzione.
Dalla trasmissione NBC del 9 settembre 1943. Pubblicato originariamente su V-Disc 31. Questa registrazione non è stata distribuita commercialmente dalla RCA Victor.