L'importanza che il melodramma ebbe in quegli anni di agitati fermenti è un fatto universalmente riconosciuto. Lo stesso Giuseppe Mazzini, nel 1836, pubblicava un saggio dal titolo Filosofia della musica. In esso il nostro maggior filosofo della politica e impegnato patriota, faceva un'analisi della situazione della musica italiana prendendo in esame Rossini, Bellini e Donizetti (Verdi era troppo giovane).
Entrava nello specifico suggerendo soluzioni politiche alla finalità del melodramma, che doveva contenere elementi impegnati, trattare storie e vicende comunque legate al riscatto nazionale. Scendeva addirittura in particolari tecnici, auspicava la rottura dei tradizionali schemi in arie, duetti, terzetti, per vagheggiare un'opera in cui il ruolo nodale venisse affidato al coro, individuato come il rappresentante del popolo, la sua voce che indicava ai personaggi la strada da percorrere per l'obiettivo finale.
Non sempre i compositori furono consapevoli dell'importanza che il melodramma ebbe nel processo di unificazione della penisola italiana. La critica e la storiografia hanno cominciato a riconoscere Bellini e Donizetti come apolitici pronti ad accontentare le autorità governative del momento, e anche Verdi come un nazionalista partime.
Un po' per gioco, possiamo pensare che l’Opera Lirica come prodotto musicale non esprime niente; proprio in questo sta la sua grande forza. Infatti ha avuto, in quegli anni, la funzione di assumere nella propria musica e nei propri testi quei sentimenti che il pubblico dei teatri andava maturando. In sostanza possiamo pensare che fu il pubblico a rivestire il melodramma delle proprie aspettative unitarie.
Caso esemplare di quanto appena detto, sono le due rappresentazioni della Norma di Bellini date a Cremona nel 1838 e nel 1848. Norma è definita opera risorgimentale in cui i Galli rivoltosi potevano essere paradigma del popolo italiano rivoltoso contro l’Austria. Nel 1838 Norma venne data in onore dell’imperatore Ferdinando d’Austria in visita alla città. Ad aprire la serata fu una cantata appositamente scritta, con gli artisti in costumi cremonesi del Medioevo: ricordo ovviamente innocuo dell’antica indipendenza comunale. A chiusura di serata fu eseguito l’inno popolare Viva Ferdinando al quale il popolo faceva eco, e dava continui segni di gioia. Non vi furono altri incidenti. Nella rappresentazione del gennaio-febbraio 1848 invece, Norma fu tolta dal cartellone e le autorità chiusero il teatro a causa delle manifestazioni patriottiche che si scatenavano al verso Sgombre farà le Gallie. In dieci anni la Norma venne rivestita dal pubblico cremonese di ideali risorgimentali che non erano ancora diffusi e condivisi alla prima rappresentazione del 1838.
Vincenzo Bellini, vivendo la sua maturità artistica fuori d'Italia, non si lasciò coinvolgere minimamente dal clima politico dei tempi. Eppure scrisse due pagine che furono adottate dal popolo risorgimentale e cantate come inni, spesso sostituendo parte del testo: Guerra, guerra da Norma e Suoni la tromba e intrepido da I Puritani, che addirittura costituì per lungo tempo una sorta di Marsigliese italiana.
Altre due opere unanimemente considerate vessilli risorgimentali sono Nabucco (1842), e I Lombardi alla prima Crociata (1843). Verdi dedicò ognuna di queste opere ad un’arciduchessa di Casa d’Austria, la prima alla figlia del viceré del Lombardo-Veneto, l’altra alla propria sovrana, Maria Luisa duchessa di Parma. È probabile che il richiamo ad una patria lontana o ad un popolo oppresso, paradigmi del popolo italiano preunitario, le due opere di Verdi l’abbiano quindi assunto in un momento successivo agli anni in cui furono scritte e certamente senza che Verdi stesso l’avesse realmente architettato.
Libretto di Temistocle SOLERA, musica di Giuseppe VERDI
Quadro II, Scena quarta, Le sponde dell'Eufrate. Ebrei incatenati e costretti al lavoro. [N. 12 - Coro di schiavi ebrei]
Non possiamo nemmeno accusare Verdi di opportunismo in quanto il coro dei Lombardi, eseguito da una banda in una chiesa piena di soldati austriaci, fece superare a Giuseppe Giusti l’odio dello straniero per ispirargli invece un senso di fratellanza con boemi e croati, coscritti e oppressi: una possibile lettura del senso di comunità umana, più larga di qualsiasi nazionalismo, che spira dalla musica verdiana.
Verdi portò la sua musica al servizio degli ideali risorgimentali, sia per i temi trattati nelle sue opere, che per i cori e le celebri arie patriottiche. Ma bisogna anche fare una più approfondita considerazione su questo versante: egli non si servì mai della tematica contingente per raggiungere il successo a scapito dei suoi incrollabili principi, estetici e creativi. Le sue opere assunsero questo carattere patriottico perché esso era nell'aria e il pubblico dell'opera lo respirava in teatro a polmoni pieni, ma la principale preoccupazione di Verdi fu sempre quella di costruire, musicalmente e drammaturgicamente, un'opera che non dovesse servire la cronaca ma sempre la storia della musica. Il successo di Nabucco, per le ovvie implicazioni anche patriottiche, che il pubblico milanese non poté evitare di leggervi, ma soprattutto le forti pressioni degli ambienti rivoluzionari e le attese del popolo e del pubblico, lo misero in serie difficoltà nella composizione dei Lombardi alla Prima Crociata, che è forse l'opera nel complesso meno riuscita di quel periodo. Verdi decise di allontanarsi da Milano per vivere più liberamente la stesura dell'Ernani, cui non mancano momenti di esaltazione, come il coro Si ridesti il leon di Castiglia e altre pagine, ma la cui struttura è più solida e più rispondente alle possibilità del genio verdiano.
Teatro La Fenice
Concerto di Capodanno
Giuseppe Verdi
Si ridesti il leon di Castiglia da Ernani
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
direttore, Sir John Eliot Gardiner
Il nome stesso di Verdi fu soggetto ad una forma di politicizzazione nell'anno della II Guerra di indipendenza senza che sia giunto a noi una indicazione sulla volontà del compositore che ciò avvenisse.
Vedi VIVA V.E.R.D.I.